Vai al contenuto

REFERENDUM 8-9 GIUGNO – QUESITO N. 2


LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO DA PICCOLE IMPRESE: ABROGAZIONE DEL LIMITE MASSIMO DEL RISARCIMENTO

Col secondo quesito si domanda se si voglia abrogare la parte dell’art. 8 della legge n. 604/1966, che prevede un limite massimo al risarcimento dovuto in caso di licenziamento illegittimo da parte di una piccola impresa.

Tale norma si applica ai lavoratori assunti prima del 7/3/2015, addetti ad unità produttive con meno di 16 dipendenti (considerate anche le altre unità produttive della stessa provincia), nonché dipendenti da imprese che occupano complessivamente meno di 60 dipendenti (c.d. piccole imprese).

Ai dipendenti da grandi imprese, che superano le predette soglie, si applica la disciplina che è oggetto del quesito n. 1.

Qualora vincesse il SI, permarrebbe unicamente il limite minimo di 2,5 mensilità, senza un limite massimo, che attualmente è di 6 mensilità (elevate a 10 nel caso in cui il dipendente abbia almeno 10 anni di anzianità aziendale, nonché a 14 mensilità, nel caso in cui il dipendente abbia almeno 20 anni di anzianità, a condizione, in entrambi i casi, che l’impresa occupi complessivamente più di 15 dipendenti, anche se in più unità produttive).

Ai dipendenti (da piccole imprese) assunti dal 7/3/2015 in poi, si applica, invece, l’art. 9 del d.lgs. 23/2015 (Jobs Act) il quale prevede, in caso di licenziamento illegittimo, una mera tutela risarcitoria da 3 a 6 mensilità.

Da notare che l’art. 9 in questione – al pari di tutto il Jobs Act – è oggetto della richiesta di integrale abrogazione mediante il quesito n. 1.

Potrebbe anche succedere che vinca il SI, per il secondo quesito, ed il NO, per il primo quesito: in tal caso, verrebbe meno il limite massimo di 6 mensilità solo per i dipendenti assunti prima del 7/3/2015; per quelli assunti in seguito, il limite massimo di 6 mensilità rimarrebbe.

È poi importante precisare che i licenziamenti nulli (tra i quali il licenziamento orale, quello della lavoratrice madre, in concomitanza di matrimonio, quello discriminatorio o ritorsivo), sono puniti – a prescindere dalle dimensioni aziendali e, dunque, anche nelle piccole imprese – con la reintegrazione del dipendente nel proprio posto di lavoro e non con la suddetta sanzione risarcitoria.

Ciò premesso, in caso di vittoria del SI nel secondo quesito referendario, i giudici dovrebbero determinare la sanzione, comunque, in base ai seguenti criteri:

  • l’anzianità aziendale del dipendente,
  • il comportamento delle parti (ad es. aver rifiutato delle proposte transattive adeguate),
  • nonché, pur sempre, le dimensioni dell’impresa (ricavabili, ad esempio, dal fatturato)
  • il numero dei dipendenti, che dunque – in ogni caso – continuerebbe ad avere rilievo.

In tal senso, i giudici dovrebbero raccordarsi, nelle proprie decisioni, alla normativa applicabile alle grandi imprese, la quale costituirebbe comunque un parametro di riferimento (verso l’alto) e che – ad oggi – senza sapere l’esito del quesito referendario n. 1, prevede un’indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità, o da 6 a 36 mensilità per gli assunti dal 7/3/2015 in poi.

I risarcimenti dovrebbero essere, dunque, proporzionati rispetto a tali valori, in relazione alle dimensioni aziendali e al numero dei dipendenti. Per coerenza, i giudici potrebbero disporre dei risarcimenti più elevati – rispetto agli attuali limiti – solo in presenza di particolari circostanze (su tutte il possesso di una consistente anzianità), dandone atto nella motivazione della sentenza.