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REFERENDUM 8-9 GIUGNO – QUESITO N. 1

QUESITO N. 1
ABROGAZIONE DEL JOBS ACT SUI LICENZIAMENTI

Col primo quesito si domanda se si voglia abrogare una intera legge, il d.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act), che disciplina le sanzioni applicabili in caso di illegittimità dei licenziamenti comminati a dipendenti assunti dal 7/3/2015 in poi (data di entrata in vigore di tale disciplina).

Il Jobs Act riguarda solo le sanzioni applicabili in caso di licenziamento illegittimo.

Il licenziamento individuale è illegittimo (e lo rimarrà a prescindere dall’esito referendario) se non è motivato da un grave inadempimento del dipendente o da comprovate ragioni organizzative. Pertanto, non aumenterà, né diminuirà, il potere del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti.
Occorre un breve excursus per comprendere lo stato dell’arte su cui interviene il referendum ed il suo possibile esito.

Prima del 2012, l’art. 18 dello statuto dei lavoratori prevedeva, per le imprese con oltre 15 dipendenti, unicamente la sanzione della reintegrazione, vale a dire:
• risarcimento pari alle retribuzioni perse dal licenziamento alla reintegra,
• nonché, in aggiunta, facoltà, per il dipendente, di scegliere tra la reintegrazione e una indennità pari a 15 mensilità (con cessazione del rapporto).

Nel 2012, con la Riforma Fornero, l’art. 18 è stato scomposto in una serie graduale di sanzioni:
reintegrazione piena, solo per i licenziamenti affetti da vizi di maggior gravità, ad es. orali o nulli, perché discriminatori o ritorsivi;
reintegrazione attenuata (in quanto il risarcimento, pari alle retribuzioni perse dal licenziamento fino alla reintegrazione, non può eccedere 12 mensilità), prevista nei casi in cui risulta l’insussistenza dei fatti dedotti dal datore di lavoro per motivare il licenziamento;
tutela meramente risarcitoria (con cessazione del rapporto), da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, negli altri casi di licenziamenti ingiustificati; il Giudice deve orientarsi tra il minimo e il massimo, in base alle dimensioni aziendali, all’anzianità del dipendente e al comportamento delle parti;

Nel 2015 è stato emanato il Jobs Act (applicabile ai nuovi assunti, dal 7/3/2015), prevedendo la reintegrazione come rimedio eccezionale, per i vizi di maggiore gravità e, di regola, un mero risarcimento (al posto della reintegrazione), che era predeterminabile, senza discrezionalità da parte del Giudice, pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità.

Tuttavia, tale disciplina è stata poi oggetto di numerose sentenze della Corte Costituzionale, che hanno bocciato, in particolare, il meccanismo della predeterminazione in base alla sola anzianità di servizio, che avrebbe portato a risarcimenti irrisori nei confronti di lavoratori con bassa anzianità.

Ad oggi, la disciplina è profondamente cambiata per effetto di tali sentenze della Corte Costituzionale e di alcune modifiche legislative.

In sintesi, l’attuale Jobs Act prevede che la reintegrazione vada disposta nei casi di maggiore gravità (sostanzialmente assimilabili a quelli previsti dall’art. 18); la tutela meramente indennitaria (in mancanza di reintegrazione) va da 6 a 36 mensilità (dunque, una forbice più ampia dell’art. 18, che va da 12 a 24 mensilità); sia per il Jobs Act, sia per l’art. 18, il Giudice deve decidere, discrezionalmente, la misura dell’indennità risarcitoria (qualora non disponga la reintegrazione), avuto riguardo a dei parametri che non si esauriscono nella sola anzianità di servizio, ma che tengono conto delle dimensioni dell’impresa e del comportamento delle parti.

Va dato atto, in relazione ad entrambe le normative, della tendenza della giurisprudenza ad accogliere interpretazioni che ampliano i casi in cui è riconosciuta la reintegrazione, che rimane circoscritta, ma non si può definire eccezionale, rispetto alla tutela indennitaria.
In conclusione, ad oggi, vige una doppia disciplina del licenziamento individuale, peraltro sovrapponibile.

L’approvazione del referendum eliminerebbe tale doppio binario, mantenendo in vita, per tutti i dipendenti, il solo art. 18, come riformulato nel 2012.

Quanto fin qui esposto vale per le imprese che occupano più di 15 dipendenti nell’unità produttiva interessata dal licenziamento, o in più unità produttive nella stessa provincia o, complessivamente, più di 60 dipendenti.

Altra è la disciplina per i licenziamenti da imprese di dimensioni minori, anch’essa soggetta a referendum.